Meno di un’ora per fornire motivi di riflessione e di analisi alle due Commissioni riunite di Camera e Senato (1^ e 7^) su un decreto che, nella sua declinazione scolastica, tradisce i contenuti dei due Patti sin qui sottoscritti (Scuola al centro del Paese e Innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale).
Il D.L. 36/2022, pur pensato per accelerare l’attuazione del PNRR, segue un percorso del tutto svincolato dai dogmi della Commissione UE sulla materia del reclutamento e della formazione del personale scolastico. Piuttosto, riprende i percorsi della Legge 107/2015 e ne cerca, ostinatamente, una forzosa attuazione, anche a costo di provocare un ampio dissenso delle OO.SS., ora unanimi, nel rigettare il suddetto decreto legge. La proclamazione dello sciopero generale del 30 maggio è la risposta, del tutto analoga a quella fornita nel 2015 al progetto riformatore dell’allora Premier Matteo Renzi (la c.d. Buona Scuola).
Elevare la qualità dell’insegnamento con costi a totale carico dei lavoratori della scuola, è questo l’incipit del provvedimento. Più crediti formativi, più selezioni (abilitazione, periodo di prova, formazione obbligatoria) con valutazioni finali e concorsi annuali, ignorando la condizione di oltre duecentomila precari con anzianità pluriennale che saranno chiamati sistematicamente a sottoporsi a percorsi selettivi mortificanti ed inutili. Un meccanismo farraginoso che allontana i giovani dalla professione docente ed il loro inserimento in pianta stabile. Le misure inserite nel decreto-legge 36/2022 vanno nella direzione opposta a quello che chiede l’Europa in un’ottica occupazionale.
L’altro aspetto trattato, quello della formazione, iniziale e continua, rappresenta l’ennesima risposta sbagliata ai bisogni reali del personale. Un percorso eterodiretto, verticistico, unilaterale che appesantisce la già difficile condizione del personale scolastico, inasprendo anche i carichi di lavoro attraverso la dilazione delle attività extrascolastiche su una proiezione pluriennale (il percorso dura tre anni). Il tutto compensato con un blando sistema di incentivi (i riconoscimenti economici sono forfettari e solo per alcuni), prelevato dalle stesse risorse già a disposizione del comparto (card docenti e MOF). Il resto si finanzia con i tagli di diecimila cattedre. In tutto questo c’è in ballo la libertà di insegnamento, pericolosamente insidiata dal pernicioso sistema dei controlli.
Il legislatore opera l’ennesima invasione di campo ed invade l’ambito contrattuale (si vede a occhio nudo e non serve il ricorso alla VAR) ed affida ad un improbabile atto di indirizzo il rinnovo di un contratto di lavoro abbondantemente scaduto.
Il 17 maggio si è aperta formalmente all’ARAN la trattativa. Paradossale, ma terribilmente vero, siamo già nel nuovo triennio 2022/22024 e siamo chiamati a discutere del rinnovo di quello vecchio. Con poco più di cento euro lordi si vorrebbe elevare la qualità dell’insegnamento peggiorando la condizione degli insegnanti. Noi l’abbiamo definita, a ragione, una “mission impossible”.
Una nota di Pino Turi