La dispersione scolastica, così come la formazione, subisce da tempo una progressiva azione intesa a ridurla a mera materia economica, generando una prospettiva che non tiene in alcun conto la persona e il contesto in cui vive: la Scuola.
Quando il criterio base si esplicita nell’offrire soldi, senza comprendere né il contesto né i bisogni siamo in presenza di un ennesimo spreco. Non si trovano soldi per aumentare gli stipendi del personale e poi si buttano via a piene mani preziose risorse.
Numerose sono le scuole che si mostrano più attente ai finanziamenti dedicati ad azioni straordinarie che a favorire l’ordinario. In questo solco si collocano le risorse dispensate da Regioni e Stato per risolvere un problema che andrebbe osservato e approcciato nelle sue premesse e non negli effetti.
Si punta sui progetti e si trascura l’attività di istituto che è una delle premesse per prevenire la dispersione, piuttosto che inseguirla.
È la povertà quella vera a generare anche quella formativa ma non è così che si può invertire la tendenza. Spendere è l’approccio del Governo per dimostrarci che ha affrontato il problema della dispersione scolastica, per affermare che ha agito bene sciorinandoci le risorse impegnate.
Sarebbe meglio e più opportuno partire da un’idea di intervento strategico sulla base dei dati. Il guaio è che il neo liberismo non produce idee se non omologate al pensiero unico, quello di amministrare risorse, con il modello del mercato. Il più bravo prevale, gli altri soccombono.
La scuola ha un mandato che muove da un principio differente: chi rischia di soccombere, se messo nelle condizioni di agire, diviene contributo alla risoluzione del problema.Per questo diciamo che la scuola non è un’azienda e la distribuzione delle risorse deve seguire strade diverse, magari quella dei bisogni. Viceversa si allargherà la forbice delle disuguaglianze, vero humus su cui cresce la dispersione e la povertà educativa