Un non – contratto: questa la definizione che si vuole dare al testo sulla mobilità, un pasticcio tutto burocratico che invece di garantire trasparenza e diritti li diversifica per annate e per situazioni soggettive che poco hanno a che fare con un contratto collettivo.
Per definirsi tale la contrattazione deve avere regole ben precise:
- deve essere chiara e trasparente tanto che ogni destinatario leggendola possa capirla per poterla applicare.
- deve registrare il massimo della convergenza sindacale, quella che la legge assegna ai vari soggetti sindacali in termini di rappresentatività perché abbia effetti “erga omnes”.
- agisce su un piano di sostanziale parità con regole e strumenti che consentano di trovare l’equilibrio tra diritti e doveri, oggetto della regola contrattuale che è cogente per tutti.
L’atto firmato da un solo sindacato non legittima la sua applicazione erga omnes e ci porta, invece, nel campo delle interrelazioni tra disposizioni, in un intreccio tra anni di applicazione e regole applicabili che solo un giurista può interpretare, tanto che il sindacato firmatario è intento a dare spiegazioni ai lavoratori sugli effetti concreti e poco chiari del testo sottoscritto. Un contratto firmato da una minoranza rappresentativa di solo un terzo non legittima nessuna contrattazione ma solo l’avallo di un atto unilaterale.
Sono le ragioni principali, prima formali, poi sostanziali per rifiutare la firma. Quella che non può essere ipotecata è l’azione sindacale generale che, peraltro, riguarda ottocentomila docenti discriminati dai blocchi triennali a ripetizione, discriminazione che coinvolge persino i Dsga, una minoranza ma proprio per questo ancora più inaccettabile per un contratto collettivo. Per quanto ci riguarda la partita è aperta e la trattativa deve proseguire per evitare figli e figliastri. In sintesi una nota della Uil Scuola nazionale